Forse questo Endkadenz vol. 1 ce lo ribadisce ancora di più, è impossibile pensare di decifrare, oggi, il messaggio dei Verdena. Arriva di petto, dritto al cuore, e non puoi pensare di rinchiuderlo in gabbie di significato o dargli un valore che possa pretendere di superare la soggettività. Ognuno ci trova quello in cui crede, l’idea che pretende di dare al mondo e che i Verdena esprimono in ogni brano della loro lunga storia. È questo a renderli forse la band più importante delle nostre generazioni, capace di esprimere tanto il vuoto quanto la pienezza dei loro, e dei nostri, giorni. Si possono rintracciare tutte le influenze che compongono Wow e non si arriverebbe da nessuna parte, si può riconoscere quanto alcuni artisti abbiamo indirettamente aiutato la composizione di Endkadenz ma sarebbe ridurne tutte le potenzialità, e ogni tanto ci fa bene pensare che arrivi da questo paese una corrente del tutto nuova, capace di rinnovarsi e non accontentarsi mai, di essere aliena in mezzo al mare di sperimentazioni poco sincere e pretenziose o di una tradizione che non ha più lo stesso sapore da tempo. Lo capisci in fretta, allora, che parlare di un loro album non può essere molto di più che un accumulo di sensazioni e ricordi, di una ricerca senza meta e pretese, verso qualcosa che soltanto dopo aver smesso di scrivere ti appare lampante, perché ci vuole tempo per assimilarli e colorarne tutte le sfumature con quelle della tua realtà. È una dichiarazione di sconfitta ed è, probabilmente, la più dolce da accettare.
Endkadenz è quel disco che non si ferma più, che sembra recuperare quel concetto perduto dell’arte per l’arte, che non deve avere giustificazioni o direzioni delineate, se non essere l’espressione di un movimento interiore che ha necessità di farsi conoscere dagli altri per sostanziarsi. Che non ha bisogno di essere esclusivo perché il suo modo di esprimersi, facendosi lirica, ti trascina al suo interno, che in periodi come questo è tutt’altro che scontato, soprattutto quando arrivi a ritagliarti una parte importante sulla scena. È, davvero, quella cicatrice che un brivido è già di Diluvio o un Inno a perdersi, versione post rock di una Dame sans merci moderna. In questo miscuglio solo in apparenza disordinato di termini e di generi, di questo pop così particolare di una giornata vista attraverso il vetro della finestra di un treno, buono per incontrarsi di nuovo, si vedono tutte le declinazioni di un lavoro profondo che non lascia nulla al caso, nemmeno quei suoni di sottofondo dello studio che avevano già caratterizzato Wow. L’immersione nel processo creativo di cui i Verdena ci fanno partecipi è una mano tesa per stringersi se non a qualcuno, almeno, a se stessi, con la buona dose di allucinazioni che ci procura il contatto con la nostra profondità. Il dovere di immergersi e di farsi ricoprire da quel mare nero di Puzzle, così come dalla leggerezza melancolica di Rilievo, sono sintomi di un mondo che non fa nulla per farsi capire ma che, per questo, non si può abbandonare. Sentimento ambiguo di una sensibilità che si trova costantemente a contatto fra il qui ed ora, e il dove si vorrebbe essere davvero e, soprattutto, con chi. Se lo stile dei Verdena appare sempre così cupo è solo perché tutt’attorno non c’è luce in cui brillare e, appunto per questo, è più necessario trasformarsi in super nova, pronta ad esplodere alla prima occasione in cui sembra valerne la pena. Al diavolo la paura di bruciarsi prima del tempo, e quello che pensano gli altri. È un po’ il senso del post-rock sotterraneo, riuscire a trasformare ogni suono in un mezzo per risvegliare un battito, è un po’ il senso dei Verdena, e c’è poco altro da dire.
Ci sono voluti quattro anni per riuscire a distaccarsi da Wow e creare un album solitario e indipendente, immerso nella contemporaneità senza perdere le radici di quello che erano già, una coesistenza difficile, quella tra il passato e il presente, restituita in più sfumature in ogni brano, che te li fa ricordare e scoprire di nuovo. Se Un po’ esageri, il primo singolo, aveva spaventato tutti perché troppo musicale e felice, beh, all’interno della struttura complessa di Endkadenz diventa una componente fondamentale di quello spettro che, ogni giorno, decide come farci vedere la nostra parte di mondo. C’è solo una cosa a essere oggettiva in tutto questo, senza i Verdena avremmo davvero un motivo per sentirci tutti un po’ più soli.