“Maeve” di CJ Leede, pubblicato dalla giovanissima casa editrice Mercurio Books, con traduzione di Gaja Cenciarelli, ci apre le porte di una sua lettura a partire dalle coincidenze linguistiche implicate tanto nel nome completo della protagonista, quanto nel titolo originale dell’opera: Maeve Fly.
Il percorso di Maeve è un tragitto ascendente, un vero e proprio volo a cui assistiamo a partire dal de-collo. Il trattino non diventa casuale poiché oltre all’evidenza aviatoria esso mostra una certa tendenza de-capitatrice che a sua volta indica, nella sua frammentazione, l’oggetto trucolento di uno dei passaggi fondamentali per l’autoaffermazione della protagonista.
Chi è dunque Maeve? Maeve è una principessa. Non una di quelle obsolete, lei è la principessa cool, la principessa per eccellenza della nostra epoca. Maeve è la principessa che manipola il ghiaccio (Sì, avete indovinato) e lo è per larga parte delle sue giornate in un parco (Sì proprio quel Parco, avete indovinato anche adesso).
Giornate di bambini e bambine che urlano, che vomitano, che si ingozzano di caramelle, che adorano la loro principessa. Giornate passate con la sua amica Kate, compagna di regno, di bevute, di sniffate. Siamo a LA e Kate ha il sogno di quasi tutte le ragazze giovani e belle che piombano nella Città degli Angeli: Hollywood. Maeve invece un sogno non lo ha, Maeve ama alla follia essere quella principessa.
La dicotomia sogno/assenza-di-sogni è la prima coppia oppositiva ad emergere all’interno del libro, Maeve e Kate sono inseparabili eppure sono separate proprio in quello che è uno dei nodi fondamentali di porsi verso il futuro o ,come metaforicamente si dice a delle giovani che hanno ancora da costituirsi, di dispiegare le ali. Mentre Kate è proiettata in un sempre avanti, Maeve si colloca sui propri stessi piedi. Se di primo acchito questo potrebbe comunque apparire come un sogno di stabilità, esso viene invece annullato dalla consapevolezza temporal-terminale della stessa Maeve, che si pone una precisa scadenza: due anni, due anni della sua vita meravigliosa e niente più. Due come gli anni che prevede possano essere la data per la finale separazione dalle due persone a cui tiene più al mondo. La prima è la stessa Kate, la quale secondo Maeve nel giro di due anni coronerà il sogno di avviare la propria carriera attoriale, la seconda è la nonna della ragazza, suo principale affetto familiare. La nonna di Maeve è il suo punto di riferimento a Los Angeles, colei che l’ha guidata verso i locali più in, colei che l’ha iniziata alle storie più curiose, colei che in seguito ad una malattia terminale non ha più di due anni di vita.
La frattura onirica avviene in quello che è uno spazio di compressione temporale, uno spazio nel quale per lo shock cronologico da principessa Maeve si fa strega. Si fa strega in quello che è l’ambiente delle streghe per eccellenza, il clima di Halloween. Halloween è un tema ricorrente, soprattutto in quelle che sono le divagazioni musicali che il libro si concede, richiamando quegli intermezzi che erano un tratto distintivo del famoso romanzo di Bret Easton Ellis, dove il Phil Collins di “Sussudio” ascoltato in un impianto Hi-Fi viene sostituito da Playlist di Halloween riprodotte nelle maniere più disparate. Una strega che si fa in un certo senso eroina femminista così come viene descritta da Tori Amos nel blurp che accompagna il libro, una strega che per l’appunto è in questi anni riemersa come simbolo e incarnazione del femminismo anche grazie a testi come Calibano e la strega di Federici e al recupero del significato tanto fattuale quanto simbolico della dimensione magica. Maeve strega moderna, strega libera, svincolata.
Da questo punto in poi il cammino di Maeve è interrotto, Maeve se vuole vivere deve volare innalzandosi sopra quello che è l’umano, dare forma al suo decollo, dare forma a quello spazio sognante di cui era in partenza priva.
Riempirlo, riempirlo di morte.
Il libro si fa vorticoso con i personaggi che si aggiungono piano piano, tra i quali l’interesse amoroso e sessuale di Maeve che la trascina dentro una concatenazione di eventi brutali in un climax che si rifà agli aspetti più splatter e gore. Il romanzo di CJ Leede rimane infatti pur sempre ancorato al genere horror e non ci risparmia spargimenti di sangue e distruzioni di corpi.
Ma Maeve non è solo una storia di orrore, bensì una storia di abbandono rispetto a quel concetto stesso che sembra più di tutti muovere il mondo: la motivazione verso qualcosa.
Maeve vuole annullare quella catena che in particolare imprigiona il genere femminile in quello che è il rapporto strettissimo tra libertà assoluta e follia e lo fa prendendo come guida proprio quel Patrick Bateman protagonista di American Psycho, che senza troppi giri di parole è forse uno dei personaggi più anti-femministi della narrativa contemporanea. Maeve si pone invece in questo senso in un approccio dialettico che le concede il dono della riappropriazione.
Maeve e Patrick, agli antipodi degli USA, LA e New York, una LA fatta di piccoli locali e grandi feste in quello che descrittivamente richiama l’ambientazione de Le Schegge, ultima fatica di BEE. Un’ambientazione vivida e immersiva tra Piña Colada, strade a sei corsie e drink alterati.
Il libro di CJ Leede è per questo un viaggio nei meandri di una mente scorticata, ma è anche un addentrarsi nelle dimensioni della solitudine e dell’abbandono, della paura di legarsi e di quella di mostrarsi, una festa dell’orrore dalla quale cercare piano piano di uscirne sempre più vivi.