Fotografie di Alessia Naccarato
Se dovessi pensare a un gruppo che mi ha traghettato letteralmente dall’adolescenza all’età adulta sceglierei i Verdena. Anzi, credo che il viaggio a ritroso nel tempo inizierebbe ancora prima, quando il mio orientamento musicale non era definito come oggi e passavo i pomeriggi ad assorbire suoni da un televisore a tubo catodico, imprimendo in testa più ritornelli possibili.
Quando è stato pubblicato Il suicidio dei Samurai avevo quindici anni e la capacità di passare dall’amore all’odio (e viceversa) in un baleno. Nessuno avrebbe saputo raccontare meglio del trio bergamasco le mie emozioni. La generazione a cui appartengo si è sempre guardata negli occhi, ritrovandosi nelle piazze o cantando a squarciagola in piccoli locali fumosi, comunicando a distanza al massimo con un paio di squilli senza capire mai bene quale fosse il vero intento.
A distanza di diciotto anni dal primo incontro che ho avuto con l’universo dei Verdena e di sette dall’ultimo lavoro in studio, Endkandenz Vol. 1 e Vol. 2, il 23 settembre scorso è uscito Volevo magia, un disco che urla forte e chiaro che il rock italiano è vivo. Dopo la pandemia, l’emergenza climatica, la guerra in Ucraina e la crisi economico-sociale non era così scontato avere la capacità di riavvolgere il nastro e di ritornare a fare quello che si è sempre fatto con disinvoltura, eppure eccoci qui, di nuovo tutti insieme sopra e sotto a un palco.
Quasi tutte le date del tour sono andate in poco tempo sold out, anche quella al Teatro della Concordia di Venaria Reale, la città alle porte di Torino conosciuta soprattutto per la magnifica reggia progettata da Amedeo di Castellamonte, oggi patrimonio UNESCO. È un mercoledì sera di metà novembre e sembra che sia arrivato finalmente l’autunno. Fuori dai cancelli c’è una lunga coda di persone avvolte da una leggera nebbia, dentro il teatro, a pochi minuti dall’inizio del concerto, ci si muove a malapena tra la folla. Non pensavo l’avrei mai detto, ma mi mancava questa sensazione.
L’apertura spetta ai Fuh, la band noise di Canale tornata sulle scene dopo dodici anni anni di silenzio dall’ultimo disco Dancing Judas, pronti a scaldare il palco in attesa dei Verdena. Un boato accoglie Alberto e Luca Ferrari, Roberta Sammarelli e Carlo Maria Toller, un quarto componente che affianca la formazione originaria alle tastiere e alla chitarra. Qualcuno tra le prime file pare addirittura commosso. Questo concerto è un déjà vu: quanti come me il 6 dicembre 2011 si trovavano proprio al Teatro della Concordia a sentire i Verdena? In undici anni cambiano un sacco di cose, il mondo cambia, le persone cambiano, ma la musica rimane un’ancora a cui aggrapparsi.
La scossa più forte è ascoltare uno dopo l’altro Pascolare, Crystal Ball, Dialobik, Chaise Longue, Cielo Super Acceso e Paul e Linda, tutti brani estratti da Volevo Magia. Non pensavo mi sarei affezionata a queste canzoni, Spotify non rende giustizia a chi ha imparato a fare la musica dal vivo, sudando nei locali. Inutile dire che a distanza di tre giorni dal concerto non ascolto altro. Quello che mi è sempre piaciuto dei Verdena infatti è la capacità di entrare in empatia con il pubblico pur non essendo le persone più spigliate e socievoli al mondo.
È bastato chiudere gli occhi per un istante durante l’esecuzione di Luna per capire che i Verdena continuano a parlare al cuore e alla pancia del pubblico. Chiunque fosse al Teatro della Concordia ha sentito una scossa, un rilascio di endorfine in tutto il corpo come dopo una corsa o un bagno caldo. Siamo tornati tutti insieme alle origini passando da Viba, Trovami un modo semplice per uscirne, Muori delay e Valvonauta. Non è per caso questa una magia? Un concerto dei Verdena equivale a sentirsi giovani e liberi? Per entrambe le domande la risposta è sì. Dove si firma per non dover aspettare più altri sette anni?