I Massimo Volume tornano con un nuovo album il prossimo 1 Febbraio, nella storica formazione a tre Emidio Clementi, Egle Sommacal e Vittoria Burattini. Il nuovo album si chiama Il nuotatore, titolo ispirato al celebre racconto di John Cheever. Nell’attesa possiamo godere del privilegio di ripassare la discografia di un gruppo che ha fatto la storia della musica italiana. Ecco allora 9 canzoni che vi guideranno alla perdizione dentro una storia che comincia nei primi anni Novanta.
Stanze vuote
da Stanze, Underground Records – 1993
Stanze è il disco di esordio dei Massimo Volume, uscito nel 1993. Stanze vuote è la traccia numero 9 del disco, che esalta il talento ermetico dei testi di Emidio Clementi: Chiudiamo dentro scatole pezzi di vita andati / Restano stanze vuote. Anche se Egle Sommacal era da poco entrato nella formazione ufficiale come chitarrista, sopravvivono tracce delle prime collaborazioni con Umberto Palazzo anche nella registrazione dell’album. Stanze fa irruzione nel panorama musicale italiano di quegli anni Novanta con le sue atmosfere ruvide, lo stile parlato e declamato della voce di Clementi che diventerà subito marchio distintivo.
Il primo dio
da Lungo i Bordi, Mescal – 1995
Lungo i Bordi è un album spietato. Inizia con l’urlo contenuto ne Il primo dio ispirato al poeta Emanuel Carnevali: pezzo epocale che si conficca disperatamente nel costato. Una poetica che viene fuori esaltata dal ritmo di chitarre, basso e batteria, e tutta la dolce amarezza della vita – quella vera, strappata, catturata da istanti che diventano i piccoli racconti decantati da Clementi. E allora Il primo dio è il pezzo inaugurale perfetto per calarsi nell’oscuro rock con tanto di spoken-word poetico dei Massimo Volume. Le dure vicende del poeta Carnevali ne fanno uno spettacolare manifesto per i diseredati alla ricerca di una salvezza. I Massimo Volume raccontano la realtà con tutta la sua crudezza.
Inverno ’85
A proposito di crudezza, vi viene in mente qualcun altro capace di tirar fuori dallo squallore di un inverno trascorso ad ascoltare un disco di Jim Carroll parole così dure da diventare poesia? Lungo i Bordi è ricco di questi momenti: possiamo sentire il tempo che scorre davvero lungo i bordi di una sonata letale, accompagnata dal rumore dei gettoni che cadono in un distributore automatico, passando dalle strade di un paese ignoto a quelle di Torino piene di insegne al neon, sospesi tra la stanza di Leo e quella di una donna armata di specchietto. Lo vedremo scorrere questo tempo armato, e non ricorderemo che poche istantanee.
La città morta
da Da Qui, Mescal – 1997
Con Da Qui i Massimo Volume arrivano al delitto perfetto. Siamo come cullati dall’apertura di pezzi come La città morta, perseguitati dai testi taglienti, dal volume delle chitarre che si alza di colpo, un rock che sorge e tramonta assieme e in uno spettacolare incalzare si fa postumo e apripista. La città morta è la quinta traccia del disco: arriva diretta dopo storie deliranti e torride come Atto Definitivo e Senza un posto dove dormire. Ci divertiamo a seguire un Clementi in giro le strade di Napoli alla ricerca del quartiere delle puttane, o a comporre versi allo stremo delle forze.
Stagioni
Il capitolo finale di Da qui. C’è Rigoni, c’è Leo, i testi di Clementi sono sempre popolati di personaggi. Come la ragazza che incontra Sul Viking Express, o l’ignota proprietaria di Qualcosa sulla vita. Le note dell’intero album scavano dentro, la musica dei Massimo Volume è piccolo rituale per l’anima: nella conclusiva Stagioni tutta l’irrequietezza esplode. Fuori c’è la peste, ma tutto è splendido lo stesso.
Dopo che
Club Privé, Mescal – 1999
Con Club Privé arriva la produzione artistica di Manuel Agnelli, amico e compagno di viaggio di Emidio Clementi. “Come faremo ad uscire da questo fiume di merda puliti e profumati?“, recita Clementi in Seychelles ’81 mentre le chitarre si distorcono, ritornando a intonare le care vecchie ossessioni. Dopo che si regge su un arrangiamento più aperto che trova forza nel testo. La conclusiva Altri Nomi somiglia invece a un profetico saluto del gruppo, che resterà in silenzio fino al 2010 senza dare più dischi alle stampe.
Le nostre ore contate
Cattive abitudini, La Tempesta – 2010
Cattive abitudini sancisce il gran ritorno dei Massimo Volume. Le nostre ore contate è un racconto metafisico e post-rock sull’inquietudine del tempo, una dedica a Manuel Agnelli in cui ritroviamo la voce di Clementi invecchiata di quel tanto da diventare perfetta insieme ai suoni rarefatti, sgargianti, che accompagnano l’andare dell’intero disco. Non c’è un solo pezzo fuori posto nelle dodici tracce del disco: presto i Massimo Volume riescono a uscire persino dall’anfratto a cui li avevano condannati gli anni Novanta.
Litio
Non si poteva escludere Litio nell’antologia di forza bruta che ci consegnano i Massimo Volume in questo infiammato ritorno. Insieme a Fausto è il pezzo più allucinato e delirante del disco, a dimostrazione che il passare degli anni non ha indebolito il suono del gruppo: semmai sono in forma, esplosivi, fanno risuonare nelle orecchie ancora una volta le loro ossessioni con il ritmo del basso che si mescola alle chitarre e si incastra alla batteria della Burattini. I testi sono veri e propri versi di poesia.
La cena
Aspettando i barbari, La Tempesta – 2013
Nel 2013 i Massimo Volume fanno uscire Aspettando i barbari, La cena è il primo fulminante singolo estratto. Ormai è chiaro che Clementi – pur non cantando ma de-cantando – ha imparato a modulare la voce, prova ne sia che per questo disco i testi nascono dopo la musica. Da strazianti dediche a Vic Chesnutt, a citazioni di Mao Tse Tung e John Cage, anche questo disco è una piccola perla da custodire. I Massimo Volume introducono per la prima volta elementi elettronici, tanto che ora la domanda giusta è: cosa ci aspetta per il prossimo album? Per ora siamo seduti a cena, tanti anni fa, a casa Clementi: le note ci avvolgono, lo sentiamo urlare. Straripa.
Ghost- track per appassionati