Luglio è quel mese un po’ bastardo in bilico come un acrobata al centro del calendario. L’effervescenza primaverile di aprile e maggio è evaporata; giugno ed il suo solstizio hanno definitivamente voltato la stagione all’estate, ma le vacanze vere e proprie (a meno che non si sia calciatori, veline, studenti o ricchi disoccupati) sono un miraggio ancora lontano, confinato a quell’apparentemente irraggiungibile oasi che ha nome di agosto. Però l’afa è già soffocante, le giornate lunghe e luminose, la voglia di sradicarsi dalla scrivania e uscire, bere un aperitivo, vedere posti nuovi, è insopprimibile. Ecco allora la soluzione: il weekend fuori porta. Che sia italico o europeo, a portata di treno o Ryanair, il fine settimana (a cui magari attaccare un furtivo giorno feriale) è l’unica scialuppa in grado di traghettarci fino alle agognate ferie estive. Indecisi su dove andare? Non c’è problema: vi consigliamo cinque mete alle quali, da esperti sommelier letterari, abbiniamo altrettanti libri. Guide particolari o romanzi d’autore per scoprire l’essenza autentica, lontana dai cliché turistici, delle vostre destinazioni di luglio.
Torino
Alessandra Chiappori, Torino di carta, Il Palindromo
Ma come, obietterete voi, Torino? Come meta per un weekend estivo? Ebbene sì, Torino. La capitale sabauda è meravigliosa, vivace e culturale, e aspetta solo di essere scoperta. È una città dalle mille sfaccettature, che si è reinventata a partire dalle Olimpiadi Invernali del 2006 e ha saputo modificare il suo volto da austera realtà imprenditoriale a ospitale meta perfetta per un fine settimana. In più, Torino è la vera capitale del libro. Non solo per il Salone Internazionale o perché sede di case editrici storiche come l’Einaudi, ma soprattutto perché è stata ed è casa di alcuni tra i migliori scrittori italiani, che il loro amore per Torino l’hanno trasferito sulla carta delle loro opere. La Torino di carta di Alessandra Chiappori è, in questo senso, una guida perfetta. Riscoprendo le pagine, tra gli altri, di Natalia Ginzburg, Cesare Pavese, Primo Levi, Italo Calvino, Fruttero&Lucentini, Giuseppe Culicchia e Margerita Oggero, la Chiappori ci fa scoprire non soltanto i più variegati luoghi di Torino – dal centro storico, al Po, ai quartieri liberty e borghesi fino a quelli della periferia industriale – ma la sua stessa essenza. Quella sabaudità un po’ understated fatta di modestia, sobrietà, intimo raccoglimento. Insomma, il torinese doc non si soffermerà mai con troppo orgoglio a contemplare la sua città, limitandosi a un sorriso accennato e ad un’alzata di spalle, come se quella bellezza non fosse grande cosa. Lo stupore è riservato interamente al visitatore, che potrà camminare per le vie di Torino con gli occhi all’insù e il naso tra le pagine di un libro.
Atene
AA.VV, The Passenger Grecia, Iperborea
Cosa significa conoscere davvero un Paese o una città? Averne mandato a memoria tutte le vie, averne fotografato i principali monumenti, essersi pedissequamente affidati a Tripadvisor per mangiare nei posti autoproclamatisi più “locali”? Per alcuni è certamente così, ma per altri vuol dire scoprire la realtà che vi si vive, approfondire il contesto, sapere cosa bolle nel pentolone sociale che borbotta sotto le vie e dietro le facciate dei palazzi. Tra questi altri c’è sicuramente il team di The Passegner, il progetto di Iperborea rivolto agli “esploratori del mondo”, che ha dedicato la sua penultima uscita alla Grecia. Il volume, ricco di magnifiche immagini e illustrazioni, raccoglie articoli di stampo giornalistico o estratti di libri che tratteggiano l’anima della Grecia odierna. Può essere usato come guida pan-ellenica (un capitolo è dedicato al particolarissimo sindaco di Salonicco, uno – meraviglioso e illuminante – alla questione dell’immigrazione sull’isola di Lesbo, un altro all’isoletta di Ikaria e alla sua popolazione che sembra aver scoperto il segreto dell’immortalità), ma ovviamente è Atene il principale riferimento. Una città spesso sottovalutata, tappa di passaggio per i traghetti che portano alle isole o mero sottofondo dell’acropoli, ma che rivela nelle pagine del libro un fascino profondo. Che sia un percorso alla scoperta del nuovo cinema greco, delle tradizionali osterie in via d’estinzione, dell’architettura neoclassica che sopravvive tra i palazzacci o all’inseguimento delle note del rebetiko, un weekend ad Atene con sottobraccio la guida di The Passenger può risvegliare in tutti i visitatori la passione del viaggiatore autentico.
Parigi
Léo Malet, Nestor Burma e la bambola, Fazi
Ah, Parigi. Parigi la bella, la Ville Lumière, che val bene una messa, la patria dell’Impressionismo, del Louvre, il set del grande Cinema francese. Gira che ti rigira, sarà capitato a tutti di andare a Parigi almeno una volta a far turismo serio, quello da guida in mano, scarpe comode, reflex al collo e immancabile scatto dalla terrazza del Trocadéro con sfondo Tour Eiffel. E, gira che ti rigira, capita di ritornarci a Parigi. Perché, allora, non pensare ad un percorso meno convenzionale, che magari tocchi sì gli scorci più suggestivi della capitale francese, ma presi da angolazioni diverse, meno tradizionali? In questo ci vengono in soccorso Léo Malet ed il suo detective privato, Nestor Burma, l’uomo che mette k.o. il mistero. L’investigatore si muove per il centro come per la periferia inseguendo piste, indizi, sospettati, troppo impegnato nella risoluzione di un caso per alzare gli occhi al paesaggio circostante. Ma noi no. Seguendo, ad esempio, l’itinerario dell’ultima indagine uscita per Fazi, Nestor Burma e la bambola, si viene a configurare un tour niente male. Punto di partenza è, ovviamente il 36 Quai des Orfèvres, la mitologica sede della polizia in piena Île de la Cité. A differenza di Maigret, che lì vi lavorava, faremo come Burma e ammireremo quelle forme da castello gotico solo dal di fuori (si spera). Da lì, ci si potrà spostare in rue de Mogador, sede dell’agenzia investigativa “Fiat Lux”: una passeggiata che costeggia il Louvre, il Jardin de Tuileries, place Vendôme e le Galeries Lafayette. Ma Burma non è un elegantone, e le sue indagini lo conducono il più delle volte in zone meno chic. Tra queste il Bois de Boulogne, oltre la Senna, nel XVI arrondissement. È lì, in una villetta appartata e poco raccomandabile, che muore il dott. Mauffet, chirurgo dalle dubbie abilità su cui Burma sta investigando. Rimodellato a misura di turista, il Bois è ora un bellissimo parco, ideale per una camminata bucolica tra alberi e laghetti. Oppure ci si può affacciare nell’Impasse Bullourde, dove ha casa il delinquente Charlot l’Eureka, che oggi sorge in un quartiere colorato e multietnico sospeso tra il Marais ed il Père-Lachaise. Per finire in rue du Dobropol, nel XVII arrondissement, tra tranquilli palazzi squisitamente parigini in cui, a sorpresa, Malet fa aprire il bordello a Cricri Verdier, ex stella del varietà rovinata dai pessimi interventi estetici di Mauffat. Scoperta la Parigi di Burma in tutte le sue sfaccettature, non resterà che scoprire l’assassino di Mauffat. Magari tornando in Quai des Orfèvres per finire il libro laddove, nei polizieschi parigini, finisce un’indagine.
Palermo
Stefania Auci, I leoni di Sicilia, Casa Editrice Nord
Il volo low cost (definizione ironica dato che il biglietto è costato come un diamante Swarovski) ci ha depositati all’aeroporto di Punta Raisi. Raggiunto il nostro hotel in città, decidiamo di sgranchirci le gambe e, ovviamente, puntiamo al mare, per respirare l’irrinunciabile aria buona ricca di iodio. Rifocillati da una delle mille e gustose proposte di street food, decidiamo di gironzolare per il centro. I piedi, che vanno da soli, ci conducono prima alla Cattedrale e poi oltre, fino al normanno castello della Zisa. Si avvicina ormai l’ora dell’aperitivo e capitati, alla ricerca di un locale, in viale Regina Margherita, tra alti e brutti palazzoni ci fermiamo sorpresi: alle spalle di un elegante cancello di ferro, si erge una struttura fiabesca, in stile Art Noveau. Curve barocche e colonnine romaniche si accostano a torrette da castello della Loira e tetti e travature da casa olandese. È il villino Florio, esempio architettonico di quella bruttezza che si nobilita col nome di “eclettismo” e, soprattutto, casa di rappresentanza di quella che è stata una delle famiglie più importanti della Palermo della Belle Epoque: i Florio. La loro storia ce la racconta Stefania Auci nel suo I leoni di Sicilia, primo volume di una saga famigliare destinata al grande successo. Nel libro, che ha l’accuratezza storica e culturale di un saggio ma la scorrevolezza di un romanzo, la Auci ripercorre gli inizi dell’impero dei Florio. I fratelli Paolo e Ignazio sbarcano a Palermo da Bagnara Calabra nel 1799 guidati dall’ambizione di diventare ricchi e potenti. La loro compagnia di navigazione sarà implementata da Vincenzo, il figlio di Paolo, che avrà due intuizioni geniali: rilanciare il vino dei poveri, il marsala, sulle tavole dei ricchi e conservare il tonno sott’olio e in lattina, per renderlo esportabile in tutta Europa. È l’avvio di quell’ascesa sociale che, pur malvista dalla nobiltà palermitana, porterà alla costruzione di Villa Florio e all’istituzione della celeberrima gara automobilistica “Targa Florio”. Il tutto condito, come ogni saga che si rispetti, da intrighi e problemi familiari che sempre più insistenti busseranno alla porta. Se la durata del soggiorno lo concede (bisogna pur ammortizzare quell’astronomico biglietto low cost) in un’ora e mezza si potrà raggiungere Trapani e, da lì, imbarcarsi sul traghetto per Favignana. La tonnara dei Florio, magnifico esempio di architettura industriale, ci attenderà a lato del porto, per raccontarci, insieme ai Leoni di Sicilia, di quando era Palermo, non Milano, la locomotiva d’Italia.
Bilbao
Fernando Aramburu, Dopo le fiamme, Guanda
Sospesa tra tradizione e modernità, Bilbao si inerpica su colline verdeggianti con stradine strette e palazzi eleganti, tagliata in due dal fiume Nervión. Se il centro, dominato dalla cattedrale di Santiago, ha un gusto gotico, intorno al futuristico Guggenheim Museum si è invece creato un assetto urbanistico arioso che strizza l’occhio alla contemporaneità. Perdersi per i vicoli e individuare, a ogni saliscendi, questi continui contrasti è affascinante, soprattutto se cullati dal clima ventilato del nord della Spagna. E verso sera, seduti al tavolino di un bar davanti a un buon bicchiere di txakoli, si può riposare le gambe perdendosi nei libri di Fernando Aramburu, il massimo autore basco dell’ultimo decennio, scoprendo così che, dietro quella facciata così quieta e pacifica, Bilbao come tutti i Paesi Baschi nascondono una storia recente travagliata, che ha portato pressoché tutti i baschi ad avere un parente morto ammazzato durante gli anni della guerra tra Eta e Stato. Aramburu ha raccontato le vicende della sua terra in Patria, uscito nel 2016, un grande affresco degli anni ’70 e ’80 che segue le vicende di due famiglie, una di “carnefici”, una di “vittime”. Su questi eventi torna ora con la raccolta di racconti Dopo le fiamme. Qui come in Patria è assente qualsiasi tono moralistico o retorico: lo sguardo sui protagonisti è umano, intimo e familiare, profondamente addentrato nella realtà quotidiana. È proprio grazie a questa vicinanza a tutti i personaggi che diventa difficile, se non impossibile, distinguere nettamente tra buoni e cattivi, tra vittime e carnefici. Il quadro che ne emerge, alla fine, è di una generale sconfitta umana in cui tutti, a prescindere dal loro credo politico, sono vittime della Storia. Risollevando gli occhi dal libro, si guarderanno gli abitanti di Bilbao con uno sguardo diverso, più partecipe; ai muri delle abitazioni si farà caso alle targhe, in memoria di questo o quell’attentato. E se la permanenza in terra basca potrà essere prolungata di un giorno, ci si potrà spingere fino a San Sebastian/Donostia, a meno di 90 minuti di macchina, città che più di ogni altra è stata segnata dagli anni dell’Eta, per scoprire, oltre al bellissimo lungomare, una parte fondamentale della nostra recente storia europea.