La definizione di classico a cui siamo più affezionati è quella di Italo Calvino, ovvero un libro a cui tornare – da rileggere. «D’un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima». E come dar torto a Calvino: depositatosi nel nostro inconscio, un classico emerge a tratti dalle lande della memoria, con furia si fa largo e ci racconta persino nuove storie.
Qui trovate una selezione di 10 classici da leggere (o ri-leggere): uno spazio che non può finire, in continuo aggiornamento. E per voi quali sono i classici indimenticabili? – magari al prossimo appuntamento troverete anche il vostro preferito.
Ernest Hemingway – Fiesta
C’è un romanzo che segna una linea di confine nella vita del suo autore e nella storia della letteratura mondiale. Si tratta di Fiesta, il libro di un giovanissimo Hemingway, apparso nel 1926 e che, assieme a Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, racconta la generazione perduta, quella degli artisti e dei pensatori che dopo la fine del primo conflitto mondiale sceglie di vivere a Parigi, fulcro di nuove correnti creative ed istanze sociali. Intorno alla Rotonde ruotano le esistenze di scrittori, poeti e anche pittori come ad esempio Modigliani. Fiesta nasce in questo contesto febbrile, molto, molto bohemienne. Hemingway, che si trasferisce a Parigi attratto dalla sua fama, ha già deciso di chiudere col giornalismo per dedicarsi alla letteratura. Quando appare, Fiesta ha la benedizione di Gertrude Stein, convinta del talento narrativo di questo americano amante dell’alcol, della boxe e della pesca. Il romanzo racconta le avventure di un gruppo di amici che da Parigi decide di partire per la Spagna. Oltre i viaggi, in rilievo ci sono le esperienze umane dei protagonisti. La voce narrante è di Jake, un ragazzo diretto, di poche parole, sarcastico, affascinato dall’imprendibile e spiritosa Brett, una ragazza del gruppo. Intorno a loro un pugno di amici fidati, dai cui dialoghi traspaiono le ansie, i sogni di un gruppo di uomini e di donne che vuol vivere alla propria maniera. Ho amato Fiesta, che ha incoronato il suo autore padre del minimalismo letterario, aprendogli la strada verso un futuro di parole e di grandi classici. (Marina Bisogno)
F. S. Fitzgerald – Il grande Gatsby
Il classico dei classici del sogno americano, che pur applicando tutte le formule del repertorio – il self-made man, la cancellazione del proprio nome, la passione, la scalata economica e sociale e infine la caduta – riesce a non invecchiare mai, a mantenere intatta la sua potenza immaginifica, a sedurre nuove generazioni di lettori, nonché a mantenere viva l’illusione dell’American way of life perfino negli anni della grande depressione: il successo che è sempre a portata di mano, anche se sembra sempre sfuggire all’ultimo minuto. Come si fa, a quasi cento anni dalla sua pubblicazione, a continuare a trovare nuove parole per promuovere questo libro dedicato all’amore e alla più cinica negazione dell’amore, consigliandone la lettura a coloro che finora sono riusciti a non leggerlo? Forse, semplicemente, riducendone la trama a due righe minime: un uomo si innamora di una donna, si reinventa totalmente per lei, e ci dimostra che l’unico amore che non si spegne è quello che non riusciamo a celebrare. Che lo scopo ultimo è amare l’amore in quanto amore. Un teorema applicato fedelmente, che attraverso la prosa scintillante di Fitzgerald riesce a venderci il più grande degli imbroglioni come un immortale romantico, o viceversa, a farci innamorare di Daisy pur mostrandocene tutte le imperfezioni, le bassezze, le frivolezze. Tutto il resto è bellezza, inesauribile scintillio. (Francesco Chianese)
Victor Hugo – Notre-Dame de Paris
Probabilmente Notre-Dame de Paris è uno degli esempi più lampanti di come la Disney – anche in modo conforme al pubblico a cui punta – sia stata in grado di indorare la pillola in molte sue narrazioni. Venuto alla luce nel 1831, quando Victor Hugo aveva solo 29 anni, Notre-Dame de Paris riscosse subito un gran successo, divenendo quello che è ad oggi è considerato uno dei capolavori assoluti dell’epoca. Siamo a Parigi, nel basso medioevo: più che una trama elaborata e avvincente, Notre-Dame de Paris offre un meticoloso dipinto quattrocentesco della città, in cui la maestosa cattedrale gotica è protagonista della scena. Hugo descrive il monumento simbolo della capitale francese con una dovizia di particolari impareggiabile – e non mancano interessanti intermezzi filosofici focalizzati sul ruolo dell’architettura nella storia dell’umanità. La cattedrale diviene il punto di convergenza di tutti i personaggi: pedine della Storia, necessari nel ritratto di ogni stato sociale, perennemente in bilico tra miseria e nobiltà, santità e peccato, bene e male. L’aristocrazia, le contraddizioni del clero; anche qui i miserabili. In un racconto sublime, a tratti anche ironico, in cui nulla è lineare e ogni animo è soggetto a passioni; in cui un uomo di fede può rivelarsi un mostro e uno storpio un salvatore. (Martina Neglia)
Herman Melville – Moby Dick
“Chiamatemi Ismaele”. Centocinquant’anni prima di On the road di Kerouac è un’inquieto marinaio di Nantucket dal nome biblico a condurci nei meandri dell’irrequietezza che ci spingono verso il viaggio: “ogni volta che nell’anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso decido che è tempo di mettermi in mare al più presto”. Libro malvagio – come ebbe a definirlo lo stesso Melville – perché racconto del male insito nell’uomo come nella natura, Moby Dick è il primo vero grande romanzo americano, tradotto in italiano da Pavese e citato da Bob Dylan nel discorso di accettazione del Nobel. Libro-mondo inafferrabile come la balena bianca cui il capitano Achab dà la caccia in una lotta inumana contro il proprio destino e la sua stessa nemesi. Distese d’acqua a perdita d’occhio, enciclopedia dei cetacei, teatro di incontri tra uomini diversi sottocoperta: Moby Dick è una preghiera sospesa, una maledizione gridata con le labbra che sanno di sale e di rhum, lunga ed estenuante attesa dentro a una secca dello spirito che avvolge e annebbia la vista, metafora terribile della ricerca di un senso alla vita di ogni uomo sulla terra e per mare. (Fabio Mastroserio)
Michail Miša Bulgakov – Il Maestro e Margherita
Quando Il Maestro e Margherita vide la luce per la prima volta, Bulgakov era morto da più di vent’anni. Uscì nella nella Russia del 1966 in una versione modificata e alleggerita dalla censura che l’autore, che in vita si scontrò più volte con le edulcorazioni dell’URSS stalinista, non avrebbe approvato. Ma mentre in patria le parti tagliate erano riuscite a trovare la propria strada sotto forma di samizdat (libretti illegali scritti a macchina) altre versioni del libro avevano già iniziato a circolare nel resto del mondo che, come previsto, non restò indifferente. La storia editoriale del manoscritto e la sua lunghissima gestazione (lo stesso Bulgakov lo bruciò nel 1930) contribuiscono senza dubbio al fascino oscuro de Il Maestro e Margherita che ad oggi è un libro imprescindibile. Fin dalle prime pagine la storia si arrampica senza sosta su una fitta rete di personaggi e situazioni improbabili muovendosi instancabilmente nello spazio-tempo, dalla Mosca degli anni ’30 alla Gerusalemme di Ponzio Pilato, il tutto tra dialoghi metafisici e ambientazioni surreali. È un libro estremamente umano e come tale racconta in modo ironico e appassionante la più antica di tutte le lotte, quella tra il bene e il male, in cui però come spesso accade i confini non sono così definiti e il vizio, la verità, l’amore e l’inganno si perdono tra le pieghe della realtà. La straordinaria attualità e la complessità de Il Maestro e Margherita trovano una sintesi perfetta nella citazione tratta dal Faust di Goethe che, non a caso, apre il libro: «Ma allora chi sei tu, insomma? Sono una parte di quella forza che eternamente vuole il male ed eternamente compie il bene». (Veronica Ganassi)
Natalia Ginzburg – Lessico Famigliare
Lessico Famigliare è il racconto intimo della famiglia di Natalia Ginzburg: i Levi, ebraici e antifascisti. Gli eventi ripercorrono l’infanzia dell’autrice fino alla sua maturità, lasciando trasparire inevitabilmente e con naturalezza le atmosfere e la vivacità della Torino degli anni ’30-’50 e la durezza del contesto storico-politico. Si entra nella vita dei Levi con passo delicato, accompagnati dalla penna e dalla voce della Ginzburg: essenziale ma sempre impeccabile. La narrazione non ha un procedere lineare, bensì attraversiamo più momenti cruciali, per la Storia o anche solo per i Levi in sé, in un alternarsi indefinito e poco importante. Ma il risultato non è mai confusionario. I richiami, i punti fermi del romanzo sono altri e come il titolo stesso lascia intuire, la Ginzburg pone l’accento su quelle caratteristiche che rendono uniche la sua famiglia e tra queste, ovviamente, il linguaggio. Le parole pronunciate riescono a delineare il carattere, a rendere riconosciubile ogni personaggio – tanto da arrivare, noi lettori, a sentirli così vicine da farle proprie a nostra volta. La Ginzburg, d’altro canto, lavora per sottrazione; lascia trasparire poco di sé e con affetto si dedica ai propri cari e alla rete di persone la cui vita si è intrecciata a quella di Levi, regalandoci anche un prezioso ricordo dell’uomo Cesare Pavese. Premio Strega 1963, davvero un gioiello del secolo scorso. (Martina Neglia)
John Fante – Chiedi alla polvere
Ogni comunità emigrata negli Stati Uniti ha raccontato la propria America, e il geniale racconto di John Fante è riuscito a saldare insieme il mito degli italiani delle Little Italies e contemporaneamente il sogno di ogni americano che si dirige in California: diventare uno scrittore, uno sceneggiatore, un regista, un attore. Si tratta del più fortunato romanzo della quadrilogia di Arturo Bandini, il personaggio autobiografico a cui l’autore ha consegnato il racconto dell’infanzia difficile delle famiglie italiane in Colorado, l’ossessione per la religione, l’alcolismo, lo scontro coi pregiudizi razziali, e quindi le illusioni e la vita sofferta dei quartieri più lerci di Los Angeles negli anni della grande depressione. Ci sono stati numerosi tentativi di riattualizzare questo modello di italiano a Los Angeles, alcuni in anni anche molto recenti, come Andrea De Carlo al suo debutto, Treno di panna (1983), se non recentissimi, vedi Chiara Barzini con Terremoto (2017). Eppure, nessuno è riuscito a raggiungere l’essenzialità archetipica della storia di Arturo Bandini, in cui le tortuosità della storia d’amore interraziale con la ispanica Camilla Lopez si saldano a quel senso di frustrazione e amarezza di fronte a questa terra di promesse che continua a sfuggire. Resta dunque inimitata la leggenda di John Fante, che sarebbe perfino andata persa se un giorno Charles Bukowski non avesse riscoperto e ripubblicato i suoi libri, scoperti nella biblioteca pubblica di Los Angeles, privandoci in un colpo solo di due grandi classici americani, poiché Bukowski ha sempre affermato che Fante è lo scrittore che lo ha ispirato di più. (Francesco Chianese)
Louis-Ferdinand Céline – Viaggio al Termine della Notte
Caposaldo della letteratura del novecento, il Viaggio è il girovagare cupo, nichilista, cinico e pessimista di Ferdinand Bardamu, alter ego dell’autore francese. Anche grazie al suo umorismo nero e al continuo mescolio di lingua alta e linguaggio popolare e gergale, Viaggio al termine della notte è una commedia infernale che attraversa gironi di povertà materiale e morale: l’illusione del patriottismo nella Grande Guerra, l’abbandono al voluttuoso e misero mondo del colonialismo, i prodromi della disumanizzazione capitalista nelle catene di montaggio dell’America fordista, la malattia degli indigenti nei quartieri più poveri dei sobborghi francesi. Rabbia e cinismo sono i colori di un affresco urbano – feroce e grottesco – che, sotto una superficie viscida e butterata, nasconde momenti di vita e di umanità commoventi. Il viaggio di Céline è una barca di carta sballottolata lungo un rigagnolo di acqua sporca che costeggia i marciapiedi della sua Parigi sotto un cielo oscuro squarciato da improvvisi lampi di poesia. “Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario: ecco la sua forza, va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose: è tutto inventato.” (Fabio Mastroserio)
Colette – Chéri
La più versatile scrittrice di Francia, ancora oggi un’istituzione e una leggenda per il suo stile di vita, nel 1920 pubblica a puntate il romanzo Chéri. In Italia una delle mie migliori traduzioni dell’opera è quella di Giulia Arborio Mella per Adelphi, che anch’io ho preferito. Chéri racconta la storia d’amore tra Léa, una bellissima donna di cinquant’anni e Chéri, ventenne viziato e benestante, figlio di una cortigiana pettegola e amica di Léa. Una storia d’amore segreta e senza futuro, ma non per questo priva di valore e bellezza. Il contesto sociale è quello dei salotti bene parigini, delle chiacchiere a vuoto, che danno a Léa il pretesto per ironizzare e scherzare. Chéri, come molti uomini, è affascinato dalla bellezza della donna (ormai minacciata dal tempo), dalla sua verve, assente nelle giovinette svenevoli che popolano i salotti di sua madre e le feste che contano. Il legame tra Léa e Chéri si alimenta di ironia, risate, passione. Il lieto fine non è contemplato: la gioia dura quel che può, senza promesse. Lo sguardo è quello implacabile e acuto dell’autrice, che attraverso gli occhi di Léa segue l’evoluzione di un sentimento considerato dai più sconveniente. Quando ho letto Chéri, anni fa, sorridevo, sorridevo tanto. Le beccate di Léa mi facevano compagnia e mi sorprendeva Colette che prendendosi gioco delle limitatezze di certuni, si lasciava poi andare a descrizioni delicate su quel che si agitava nell’animo della protagonista. Un libro indimenticabile, per me. (Marina Bisogno)
Franz Kafka – La Metamorfosi
«Una mattina Gregor Samsa, destandosi da sogni inquieti, si trovò mutato, nel suo letto, in un insetto mostruoso»: uno degli incipit più folgoranti della storia della letteratura è quello del racconto La Metamorfosi di Frank Kafka. Avrebbe voluto destinare tutti i suoi scritti alle fiamme, lo scrittore ceco – per fortuna l’amico Max Brod non rispettò le sue memorie e pubblicò (postuma) l’opera di Kafka. Tuttavia La Metamorfosi fa eccezione, pubblicato per la prima volta da una rivista quando l’autore era ancora in vita. In queste giornate è uscita nelle librerie la nuova edizione di Lezioni di Letteratura di Nabokov, e nella disamina delle opere classiche che fa lo scrittore russo non poteva mancare quello che oggi è annoverato tra i grandi capolavori di Kafka. Per Nabokov l’analisi freudiana di questo racconto non permette di cogliere tutto il realismo magico del testo: è parziale. Tuttavia se c’è un aspetto con cui dobbiamo fare i conti nel leggere Kafka è la sua capacità di essere auto-biografico anche quando racconta la metamorfosi di un corpo umano che prende le sembianze di uno squallido insetto. Per capire Kafka, va letta la meravigliosa e toccante Lettera al Padre: come uno scrigno si aprirà in tutta la sua magnificenza il mondo di uno più grandi scrittori che oggi abbiamo il privilegio di leggere. E rileggere. (Giovanna Taverni)