Se il mio personale 2016 è stato segnato musicalmente dal ritorno di James Blake (e dalla mezza delusione di Bon Iver che, con 22, A Million, conferma comunque di aver preso una direzione che lo avvicina di qualche passo all’amico londinese), non potevo che aspettare con impazienza l’uscita di Rennen, secondo album di Sohn, dopo l’esordio del 2014 con Tremors, che i rumors vogliono ormai come una delle promesse della nuova scena di producers votati ad un new-soul emozionale dal forte impatto, assoldato fin dagli esordi tra le fila della prestigiosa etichetta 4AD, in compagnia non solo di altri artisti che gravitano nel mondo elettronico, ma dell’indie tutto, passato e presente.
La prima traccia Hard Liquor ci proietta immediatamente nelle sonorità che caratterizzano l’album, privo degli abbellimenti del precedente Tremors, che ci restituisce un’elettronica minimale dall’anima r&b e blues che Christopher Taylor, vero nome di Sohn, padroneggia abilmente. La prima quartina di brani scivola via meravigliosamente con perle come Conrad, uno dei brani più forti dell’album, Signal (primo singolo estratto, il cui video è diretto ed interpretato da una Mila Jovovich sempre bellissima per quanto inespressiva, al suo debutto alla regia) e Dead Wrong. Primary, il pezzo dedicato alle elezioni statunitensi che hanno visto la controversa vittoria di Trump, segna una pausa dall’incalzare dei brani, svolta che porta istintivamente alla mente l’ultimo lavoro di James Blake soprattutto per l’uso della voce, che emerge con assoluta pulizia in tutta la sua grazia. Si riprende ritmo con Falling e Proof, per avvicinarci alla coda, con l’esercizio di stile di Still Waters, in cui Sohn gioca ancora una volta con le sfumature della sua voce su basi minimali ridotte all’osso, e il delirio sonoro dei quattro minuti abbondanti di Harbour.
Rennen è un lavoro che, negli intenti, non si distacca di molto dal precedente Tremors, ma pone altre mattonelle per lastricare un percorso musicale coerente. Un disco per ballare, ma anche un disco da ascoltare per cogliere appieno le sfaccettature del talento di colui che ormai è riduttivo chiamare producer, un talento che in soli due dischi è riuscito a mettere una firma stilistica riconoscibile, un creativo in evoluzione che sarà in grado di darci ancora soddisfazioni.