La grande tradizione del romanzo classico britannico ritorna, a sorpresa, in un esordio atipico, quello di Karen Powell e il suo Il fiume dentro di noi, Edizioni e/o. Powell scrive una storia di mistero e sospetto ambientata in una cittadina dello Yorkshire nell’estate del 1955, metafora dello sgretolamento delle convenzioni, delle certezze e della struttura familiare dell’epoca, in una Gran Bretagna post bellica che fa i conti con i traumi del passato. Vicino a Starome, questo il nome della cittadina, scorre un fiume mai nominato nel romanzo, ma comunque perno della vicenda, soprattutto quando fa riemergere il cadavere del giovane Danny Masters, morto misteriosamente poco prima l’inizio delle vicende. Un coro di personaggi svilupperà le sue vite intorno a questo fiume, non dimenticandone mai il potere oscuro e il suo incedere minaccioso.
Non aveva paura del fiume – le dita dei morti che ti afferravano sotto al superficie erano solo fantasie infantili – ma neppure lo amava particolarmente. […] L’acqua era nera, furiosa e orribile, e se fosse dipeso da lei non sarebbe andata a cercarla, però non era possibile sbarazzarsene. Una simile energia non poteva non trovare la via per risalire in superficie. Bisognava escogitare un modo per viverle accanto.
Oltre al fiume, un altro perno del romanzo è la tenuta di Richmond Hall, la cui opulenza è in declino sotto il peso dei cambiamenti economici e sociali del tempo e la cui resistenza, ottusa e senza speranza, è la stessa di un sistema di caste che soffoca le individualità e le lega ai luoghi senza dare loro la speranza di una vita nuova, diversa. A Richmond Hall rimane legata, infatti, Lady Venetia Richmond, vedova di Sir Angus Richmond, uomo che forse ha amato in passato, ma che ora non c’è più. Su di lei, donna granitica in età adulta, grava il peso di questa vecchia opulenza sommersa dai debiti. Un’Inghilterra di privilegi, quella che rappresenta Lady Venetia, che soccombe all’avanzare del nuovo, seppure lento e mal visto nella campagna dello Yorkshire. Con lei suo figlio Alexander, viziato e crudele, e la famiglia Fairweather, in cui Powell scolpisce il suo personaggio più fortunato: Lennie. Sarà lei, assieme al fratello, a scoprire il cadavere di Danny, e sarà lei a pagare il prezzo delle regole sociali, dei suoi sogni di giovane donna degli anni ’50 e del destino vigliacco che indugerà sulla sua sofferenza. A lei, come già anticipato, Powell dedica le pagine più riuscite e ispirate, rendendola eroina dolente di un mondo che fatica ad accettare il rinnovamento sociale.
L’universo era composto da due categorie di persone, pensava Lennie: quelli che volevano fare tutto a pezzi e quelli che volevano mantenerlo identico a com’era. Due forze oppose, inesorabili, come le rive rocciose del Passo e l’acqua vorticosa, nera come il ferro, che cercava di aprirsi un varco in mezzo a loro.
E quando le rigide regole sociali cominciano a scricchiolare, è proprio la vita di Lennie a risentirne per ironia della sorte, lei figlia del segretario del defunto Angus Richmond, perché sarà la sua vita personale a pagare le conseguenze più dirette; lei che subisce la fascinazione del giovane Alexander, lei che paga lo scotto del padre possessivo e ottuso, conforme solo a ciò che la società vuole sentirsi dire, lei che si troverà invischiata per prima nel precipitare degli eventi innescato dalla morte di Danny. Powell le dà le sembianze di una driade, una ninfa dei boschi, leggera e fragile, in questo romanzo del mistero in cui nessuno investiga, ma tutto viene a galla, proprio come il corpo di Danny, aprendo uno squarcio nei segreti degli individui che regolano le loro vite. “Il fiume dentro di noi” si trasforma con l’avanzare della lettura, diventa quasi un romanzo psicologico puro in questo indagare senza sosta nell’animo umano e nei segreti che le esistenze custodiscono con cura velenosa. Se, allora, nelle prime pagine le atmosfere quasi ricordano quelle dello Stephen King più “mistery”, alla “Stand by me”, con l’apertura della narrazione si consolida la natura puramente British del romanzo, con richiami evidenti alla penna delle autrici dell’epoca che Powell sceglie come ambientazione. Un nome su tutte, quello di Elizabeth Jane Howard, la cui attenzione per l’animo umano e le piccole e grandi miserie del quotidiano, si riflettono nella scrittura di Powell. Come Howard, Powell si dedica con trasporto ai dettagli ambientali, descrivendoli con una attenzione quasi maniacale, per poi affiancare il racconto delle relazioni tra le persone e, soprattutto, della condizione femminile dell’epoca, tra obblighi della maternità, tradimenti e esistenze intere soffocate dalle regole. Si può dire che Lennie, più di tutte, sia la personificazione dello spirito del romanzo ed è a lei che Powell dedica anche la pietà più pura, narrando la fragilità estrema senza indugiarci.
“Il fiume dentro di noi” è un romanzo sulla resistenza alle avversità, sul destino che ci è stato assegnato e quei timidi tentativi di sfuggirgli nonostante il passato che incombe, oscuro e violento nel caso di Starome, ma anche ineluttabile e arcigno. Ed è il fiume il simbolo perfetto di questa ricerca narrativa: è lui l’oscuro che scorre nelle famiglie, nei villaggi, nella storia comune e in quelle personali. È il fiume che toglie, è il fiume che restituisce, per chiudere un cerchio e innescare i cambiamenti inevitabili che però ritornano sempre allo stesso punto di partenza, come gattopardismo insegna.